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LA PERSISTENZA DEL GRUPPO

In questa mia serie fotografica metto insieme i risultati d’una ricerca visiva che conduco accuratamente da diversi anni.

Nel gruppo – soggetto che ricorre nei miei scatti – ho sempre riscontrato una capacità di affermazione dell’essere umano che non necessita di grandi sforzi. Il gruppo si sostiene senza grandi strategie. Un valore che ha incuriosito l’antropologia sin dai primi tempi. Quale è il valore della comunità? Forse ogni gruppo è una fortezza? Unacaratteristica tutta animale, profonda, ancestrale, evoluta in modelli culturali che esercitano un controllo sul singolo individuo. Le regole di gruppo sono gli elementi che gli permettono di sussistere. Il gruppo è una struttura comune a tutte le culture. Il singolo, grazie al gruppo, ha trasformato la tecnica in tecnologia. Ma la naturale inclinazione “prometeica” del singolo uomo, la sua pulsione “odisseica” all’infrazione del limite per esplorare l’oltre, il suo desiderio “onnipotentistico” di controllare e fare proprie le forze della natura fino a sostituirsi ad essa, sono in grado di preservare un equilibrio fra il tecnologo e la comunità

d’appartenenza? Con che modalità l’irrefrenabile spinta all’innovazione tecnologica (coi conseguenti esiti tecnocratici) si ripercuote sul contesto sociale e naturale? Nel bilancio prevarranno distopicamente soltanto gli interessi individuali o ci saranno anche delle apprezzabili ricadute collettive? E il gruppo, oggi, è ancora in grado di guardare all’altro con la dovuta attenzione? Saprà il gruppo limitare la genesi della sua autodistruzione causa sopravvento della macchina per volere dei singoli tecnocrati?

La macchina non è progettata per considerare la socialità

come valore al quale tendere. Tecnologia e tecnocrazia non considerano la socialità un valore prioritario, propendendo piuttosto per il perseguimento degli interessi di pochi appartenenti a élites assai ristrette.

Comunque sia, anche nell’era dell’informatica e delle biotecnologie più avanzate, sarà sempre e solo l’uomo ad avere l’ultima parola e a farsi artefice del proprio destino sociale e naturale.

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