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Un corpo dai mille organi.

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2025​

Ho messo insieme due parole — corpo e macchina — perché per me la fotografia comincia lì, nel punto in cui questi due elementi si toccano e si confondono.
Non penso alla macchina fotografica come a uno strumento neutro, ma come a una propaggine complessa, un’estensione del mio corpo e del mio sguardo. Una macchina fatta di lenti, leve, materiali, ma anche di desiderio, immaginazione, necessità.

La storia della fotografia è attraversata da questa ambivalenza: ogni dispositivo porta con sé delle possibilità, dei “programmi eseguibili”, un insieme di azioni possibili e altre escluse. Ed è proprio da questo che nasce il mio interesse per la macchina: per le sue potenzialità, per i suoi limiti, per la sua presenza ingombrante ma affascinante.
Sono belle, solide, a volte ricoperte di design. Le macchine fotografiche esistono come se fossero organismi autonomi, e ogni fotografo, in un modo o nell’altro, finisce per stringere con esse un legame profondo. Uno sposalizio, forse. Un rapporto fatto di protezione, di riverenza, e anche di dipendenza.

Nel tempo ho accumulato macchine, obiettivi, supporti. Ogni nuovo dispositivo sembrava promettere una visione diversa, un altro modo di vedere. Da questa sovrabbondanza è nata la volontà di fermarmi un attimo e guardare non attraverso la macchina, ma verso di essa.

Questa serie fotografica nasce proprio da lì.
Ho voluto mettere in scena la presenza totalizzante della macchina fotografica nella vita di chi guarda. Non come oggetto tecnico, ma come corpo vivo, ibrido, a volte inquietante. Un corpo che si confonde con il mio, che si sostituisce a me, che assume fattezze umane e insieme meccaniche.
È un corpo che pensa, osserva, desidera. È organico. È organo. E allo stesso tempo è il veicolo di qualcosa di più grande, forse anche di più ambiguo: un mezzo che ha collaborato alla conoscenza, ma che è stato anche veicolo di distopia.

Attraverso queste immagini non ho cercato di spiegare, ma di evocare.
La macchina si fa volto, presenza scenica, spettro, apparato armato, occhio impersonale.
A volte si siede, altre volte impugna. Non fotografa: è fotografia.
In un mondo in cui lo sguardo è sempre più mediato dai dispositivi, la domanda che mi porto dietro è questa:
chi sta guardando chi?

Forse non è più la macchina al servizio del fotografo, ma il contrario. Forse non si comincia più dall’immagine, ma dalla macchina. O forse, come credo, non possiamo più distinguerle.

 

Questa serie è il mio modo di restituire visibilità a un legame che spesso rimane invisibile, ma che struttura il nostro modo di abitare il mondo. Un legame profondo, estetico, tecnologico, corporeo.
Un legame che genera un nuovo corpo —un corpo dai mille organi.

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