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2024

Solo che amore ti colpisca, Appunti dall’isola plurale, tra poesia e fotografia, a cura di Helga Marsala.

Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo,Real Albergo delle povere.

Palermo.​​​

https://www.artribune.com/​​

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Opere in mostra

​Senza alcun titolo, 2020 2023

Verde, magenta e nero, 2025 2023

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«Ricorda che puoi essere l’essere dell’essere / solo che amore ti colpisca bene alle viscere. Ci- tando una celebre lirica di Salvatore Quasimodo e immaginando questo invocato ‘amore’ come motore primordiale, tra le leggi di natura e il regime dell’occhio e dello spirito, fotografia e poesia si specchiano l’una nell’altra. ”Scrittura di luce” la prima, nel suo significato etimologico, ovvero traccia di sé che la realtà produce per mezzo del sole; scrittura luminosa la seconda, “combinazi- one di vocali e di consonanti nella quale è entrata una luce”, per usare le parole di Ungaretti, che in questa luce rintracciava la verità della poesia stessa”: così scrive la curatrice, Helga Marsala, che a proposito del criterio alla base della scelta degli artisti, aggiunge:
«Nell’era della comunicazione, in cui tutto è immagine e tutto esiste in funzione delle immagini, la fotografia – che è stata rivoluzione decisiva nel cuore della modernità – non è semplicemente un linguaggio, ma è cifra stessa, cangiante e multiforme, del reale. Questa mostra sceglie dunque di utilizzarla come spunto concettuale, estetico, filosofico, antropologico, oltre che come pratica artistica. E lo fa includendo anche artisti non fotografi o non esclusivamente fotografi, ad esem- pio interessati al recupero e alla trasformazione di materiali d’archivio. Tutti autori, in ogni caso, scelti per la forza del loro sguardo e per la capacità di sperimentare in modo profondo, personale, perseguendo una qualche forma di poesia».

2020

Piccola antologica, testi di Salvo Ferlito

Gallerie XXS. Palermo

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L’armoniosa panoramica di Salvo Ferlito, giugno 2020
Immagini apparentemente slegate, magari pure contraddittorie, e tuttavia tenacemente connesse fra di loro da un filo logico e linguistico che ne fa tessere d’un articolato mosaico coerentemente composto in un unico insieme stilistico e narrativo. Un giovane surrealmente mascherato da elefante; degli alberi solitari plasticamente evidenziati da un sapiente gioco chiaroscurale; i componenti di una congrega che esibiscono con inusitata fierezza i simboli della loro appartenenza; tutti scatti a prima vista scollegati – se osservati con superficiale approccio ed incongrua chiave di lettura –, tappe di un percorso artistico che parrebbe all’insegna della casualità e della estemporaneità; e ciò non di meno – a ben vedere – null’altro che capitoli d’una unica e coerente narrazione, ove la peculiare ricerca d’una percepibile omogeneità estetica fa da legante e filo conduttore all’acuta disamina di quanto alberga nella dimensione esistenziale, sociale ed ambientale della contemporaneità. E’ vero che nello “statuto” del fotografare vi è l’incontro casuale col soggetto imperdibile, l’incrocio improvviso col luogo e con l’attimo ideali, l’intuizione immediata del potenziale narrativo insito in un volto, un corpo od un contesto; ma è altrettanto vero che la fotografia è anche “progettazione”, capacità di “costruire” una inquadratura partendo da una “visione preesistente”, ricerca ostinata dell’appropriato “qui ed ora”; e tutto ciò sin dagli albori di questa disciplina artistica – quando la palese filiazione delle foto dai modelli della pittura portava ad una decisa pianificazione d’ogni scatto – e in fondo non meno al giorno d’oggi, in un tempo in cui la manipolazione digitale delle immagini è ormai una prassi consueta e sistematica. L’operare di Alessandro – che non a caso è fotografo colto e intelligente – annovera entrambe le suddette impostazioni: cercare i soggetti più appropriati senza escludere l’ausilio di una alea imperscrutabile e al contempo inserirli in una trama visuale ampiamente cogitata a priori. L’individuazione – apparentemente fortuita – di spunti tematici dai connotati surreali si accompagna così alla meticolosa attenzione per gli assetti compositivi, al frequente ricorso a raffinati effetti di chiaroscuro, alla scelta di accostamenti cromatici equilibrati ed eleganti, alla predilezione per una struttura fabulatoria dai toni ineffabili e paradossali, testimoniando d’un modus operandi in grado di integrare l’improvvisa e inattesa ispirazione con un impianto visivo assai pausato e meditato che mai possa prescindere dalla voluta “costruzione” d’ognuna delle foto. Il tipico incedere da fotoreporter (in termini di mero assorbimento di quanto cade più o meno accidentalmente sotto l’obiettivo) si coniuga pertanto con l’ostinata ricerca dell’inquadratura ideale, operata attraverso un certosino processo di edificazione nel quale convogliare un immaginario affinato alla luce d’una profonda cultura visuale. Questa abituale e consolidata impostazione spiega il perché l’andamento diacronico del fotografare di Alessandro – la cui ricostruzione è alla base di questa “piccola” mostra di carattere antologico – non presenti mai stacchi evidenti o brusche soluzioni di continuità, ma tenda piuttosto ad amalgamarsi in una sorta di “armoniosa panoramica”, ove le immagini paiono comporsi chiaramente in un insieme del tutto sincronico e coerente.  Ne consegue che uno scatto di quindici anni fa possa essere accostato in tranquillità ad uno più recente, e questo senza che si apprezzi alcuna visibile cesura o incoerenza estetico-linguistica; piuttosto quella cui si assiste è una riuscita “polifonia visuale”, nella quale si avverte come un senso straniante di assoluta atemporalità; un raccontare (e in fondo un raccontarsi) nel quale non si nota un classico procedere per tappe sequenziali – ove ognuna è obbligata premessa (crono) logica della successiva – ma in cui ciascuna immagine è parte integrante d’un compiuto “ensemble”, sottraendosi del tutto ad ogni stringente distinzione fra ante e post. La “simultaneità visuale” – dunque – è ciò che rende peculiare il lavoro fotografico di Di Giugno; nessuna parvente incongruenza o brusco salto – pertanto – fra la foto di un incombente peschereccio e quella di un totemico cactus, né – tanto meno – fra l’inquadratura di un gruppo di medici atteggiati come i componenti di una corporazione olandese del ‘600 ed i surreali ritratti di giovani dotati di ali di cartone immortalati nell’illusoria attesa d’un libertario volo verso qualche altrove; la cifra stilistica – infatti – è sempre chiara e inoppugnabile, e non soltanto – come detto – dal punto di vista tecnico e formale, quanto piuttosto nei connotati tendenzialmente metafisici dell’impianto narrativo. E’ il pervasivo potere di fabulazione – in definitiva – il carattere comune a tutte queste foto; la loro analoga capacità di irretire l’osservatore, immettendolo in un mondo “altro”; il loro eguale “magnetismo” che prescinde dai  particolari di quanto messo a fuoco; il loro esser frutto del meraviglioso artificio che è da sempre alla base delle arti visuali: e cioè di quell’attitudine – che appartiene solo ai veri artisti – a tributare valore estetico e simbolico a qualsiasi oggetto o soggetto, sottraendolo in tal modo alla transitoria dimensione della normalità e della banalità per elevarlo – mediante un’aura suadente ed ineffabile – all’imperituro rango di opera d’arte.

2022

Queste non sono pipe, Autoritratti contemporanei, a cura di Salvo Ferlito.
Aprile 2019​

2019

Madonie paesaggi, a cura di Emilia Valenza.

Aprile 2019

Museo civico, Castelbuono. Palermo.

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Opere in mostra

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Verde, magenta e nero, 2025 2023

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2018

Verde, magenta e nero, testi di Stefania Cordone.

Aprile 2019

Gallerya Puatia, Castelbuono. Palermo.

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Opere in mostra

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Verde, magenta e nero, 2025 2023

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Stefania Cordone, 2018
“Nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si trasforma”, eppure, davanti al devastante spettacolo che va in scena ogni anno in Sicilia, quando gli incendi estivi sfigurano il paesaggio indifeso, sembra ci sia solo distruzione. La serie fotografica dell’artista Alessandro Di Giugno è un inedito codice di denuncia di questo abuso stagionale, che costruisce un percorso visivo che ritrae alberi, piante e intere vegetazioni bruciate in immagini ancora verdi, ma non per questo vive. La natura rappresentata viene avvolta da un filtro verde 0,255,0 che trasfigura il paesaggio e scandisce due fasi: dapprima l’illusione - ipocrisia per certi aspetti - che tutto sia “verde”, che tutto sia “ok”. Eppure in fondo amplifica, anticipandola, la capacità rigenerativa della natura, perché tutto ciò che era devastazione è irradiato da un significato positivo, che attiene molto alla Sicilia, quasi sempre in grado di riemergere da ceneri apparentemente irrimediabili. Un lavoro - quello proposta da Alessandro Di Giugno - intorno alla missione stessa della fotografia, al significato e alle modalità distorte della rappresentazione del reale, che in Magenta riesce a fondere componenti destruens con costruens, denuncia con ricerca. 

2011

Eterofilia, a cura di Giovanni Iovane

Artista selezionato dall'archivio artisti del S.A.C.S, Sportello per l'arte contemporanea della Sicilia.

Dicembre 2011

Cappella dell'incoronazione, Palermo.

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​Sportello S.A.C.S

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